Non ci sono parole per esprimere lo sdegno e la rabbia per questo assassinio annunciato, iscritto in quella logica del profitto che non riconosce spazio alle lotte di chi vuole lavorare in condizioni dignitose.
Non ci sono diritti da rivendicare per chi è stato condannato a lavorare in condizioni di schiavitù. Per questi ci sono solo contratti bidone che sindacati complici siglano, anche quando hanno chiaro di non essere affatto rappresentativi tra i lavoratori.
Contratti che sono improntati alla logica della “riduzione del danno” delle perdite economiche e contrattuali, mai al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Contratti che si rinnovano con elemosine programmate, senza alcuna risposta ai lavoratori che non riescono più ad arrivare alla fine del mese, senza neanche l’obiettivo di contenere l’impoverimento dovuto alla pandemia.
Per coloro che non ci stanno licenziamenti, botte, a volte dalla polizia a volte dai crumiri. Non è una guerra tra poveri: è la lotta per il diritto a massimizzare i profitti, per rubare fette di salario dalle tasche dei lavoratori.
È una situazione che sta diventando comune a molti posti di lavoro e che la fine del blocco dei licenziamenti tanto invocata da Confindustria rende sempre più evidente.
La logistica è uno di quei settori che dalla pandemia è riuscito solo a trarre profitti, mettendo sul lastrico una fetta consistente di commercio tradizionale, grazie anche a consumatori a cui interessa comprare solo a prezzi al ribasso, che oggi vuole avere mano libera nella gestione selvaggia del personale, a cui propone col bastone in mano contrari precari e da fame. Una riedizione della schiavitù del terzo millennio.
ADIL è morto lottando in nome di una società diversa, senza schiavitù, mantenendo vivo un concetto di lotte che in molti vorrebbero seppellire nel secolo scorso. I media guardano sgomenti gli schiavi che si ribellano e si chiedono perché sono così incompatibili, perché non accettano le briciole che il contratto bidone della logistica ha proposto con la benedizione dei sindacati di stato.
ADIL non è il primo morto nelle vertenze della logistica investito da un camion che non ha tempo per rispettare chi manifesta per il pane e contro il ricatto dei licenziamenti. L’escalation di aggressioni nella logistica è un segnale preoccupante e trasversale da parte di padroni che hanno dimostrato senza vergogna che il loro diritto a produrre è più importante del diritto alla salute.
Ai padroni non è bastato intascare la fetta più rilevante del recovery plan: vogliono riprendersi il controllo totale della produzione senza orpelli sindacali, vogliono poter sfruttare la manodopera immigrata con la complicità di chi prima firma contratti di sfruttamento e poi si vende come anima buona della società civile.
Non basta indignarsi. Dobbiamo sollevarci da questa condizione di ricatto che ci impone quotidianamente di abbassare la testa, davanti ai padroni, fino a diventare complici del loro sistema che utilizza la povertà solo per fare affari.
ADIL lascia 2 figli e un insegnamento: i diritti non si difendono con le parole ma con la lotta. Spero che serva a tutti noi di ammonimento. La vita dei lavoratori dopo la pandemia è questa, anche per chi si rifiuta di vederla.
19 giugno 2021
COBAS Sanità, Università e Ricerca